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L’orgogliosa e pregiudizievole recensione di Orgoglio e pregiudizio e zombie

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Ho incontrato tardi sulla mia strada i film del mio quasi omonimo George Romero. Un po’ perché sapevo che erano estremamente gore e questo mi spaventava ancora. Poi, quando finalmente ho visto Zombi, la mia vita è cambiata. Non lo dico mica così, tanto per dire, ma lo intendo davvero: Zombi è stato per me l’inizio di una rivoluzione copernicana nel mio gusto cinematografico che mi ha avvicinato moltissimo al mondo degli horror. Perciò mi viene molto difficile ammettere quello che sto per dire, ma devo dirlo lo stesso: i film di zombi hanno un po’ rotto il cazzo.

Mi viene in mente un paragone musicale per spiegare meglio questa affermazione. Più o meno nello stesso periodo in cui ho scoperto Romero, ho scoperto anche il death melodico svedese. Mi esaltai a manetta per At the Gates, In Flames e Dark Tranquility. Voglio dire, un’attitudine death metal mescolata a riff di scuola Iron Maiden? Come si fa a non amare questo concetto alla follia? Il guaio è che, al di là di queste tre band, è piuttosto difficile apprezzare il genere in toto, perché ha delle regole strettissime e molto limitanti: gli arrangiamenti sono sempre un po’ quelli, i brani finiscono per assomigliarsi spesso in maniera sospetta. Ti resta quella manciata di dischi del cuore che ogni tanto ti riascolti, ma il filone dopo un po’ diventa indigesto e ripetitivo e lo abbandoni, passando ad altro. C’est la vie.

(E a proposito: sigla!)

//www.youtube.com/watch?v=uvHEfanzRXw

Ecco, questo è esattamente quello che mi è successo – e sospetto non solo a me – con il cinema degli zombi. Romero è un tale genio, e ha stabilito delle regole talmente fiche, che per il 99% degli altri autori è impossibile cambiarle in meglio per dire qualcosa di nuovo. Specifico, ho detto che è impossibile cambiarle “in meglio”, ma non impossibile cambiarle. Solo che quel 99% di cui sopra le cambia in peggio.

Ma parliamo di PPZ: Pride + Prejudice + Zombies (da qui in poi Pipì Zeta). Era dal 2009 che Lionsgate stava tentando di produrre un adattamento del romanzo di Seth Grahame-Smith che utilizzava il testo di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen inserendo delle parti horror per trasformarlo in una sorta di love story post-apocalittica ambientata nell’Inghilterra del 19° secolo. Sulla carta, un’idea del cazzo. Al cinema, però, una storia così dà la possibilità di immaginare un mondo alternativo, mescolando ricostruzione storica con elementi anacronistici della scenografia e del production design per ottenere qualcosa che sia almeno visivamente accattivante. E poteva funzionare.

Una foto del film, senza zombi.

Una foto del film, senza zombi.

Il film è diretto da Burr Steers, un regista che viene dalla recitazione ed è – pensate – una delle voci che si sentono in sottofondo alla radio ne Le Iene di Tarantino. È anche un autore appartenente al 99%. Regista su commissione di capolavori del non ce ne frega un cazzo come 17 Again e Segui il Tuo Cuore, Steers è stato chiamato come rattoppo dell’ultimo minuto dopo che ben tre registi (David O. Russell, Mike White e Craig Gillespie, notate la curva discendente di fama) hanno abbandonato il progetto. Ricorderete che, siccome il romanzo ha venduto tantissimo, all’inizio Pipì Zeta doveva essere una megaproduzione con Natalie Portman nei panni di Elizabeth Bennet, poi tutto si è rapidamente sgretolato. Ma, per la regola de LO SBAGLIO, dall’alto qualcuno sbraita che il film si deve fare lo stesso, non importa quanti registi daranno forfait, non importa se dovranno chiamare Massimo Ceccherini con la parrucca a interpretare Elizabeth. E quindi la lavorazione prosegue.

Pipì Zeta arriva al cinema. Ora, io non ho letto il romanzo ma sospetto che molto di quello che si vede nel film venga da lì. Come ad esempio l’idea di rendere gli zombi senzienti e dotati di parola, a differenza dei film di Romero. Oppure il fatto che gli zombi si debbano nutrire di cervelli, e non semplicemente di carne umana. C’è pure una scena in cui scopriamo che gli zombi stanno creando una sorta di società parallela, che stanno tentando di tenere a bada i loro istinti consumando cervello di maiale. Tutte cose legittime, per carità, ma idee originali? Cambiamenti intelligenti nella mitologia degli zombi? Quello proprio no.

Nope, ancora nessuno zombi.

Nope, ancora nessuno zombi.

Innanzitutto perché buona parte di queste trovate sono molto comuni nel cinema dei vampiri – non-morti dotati di parola che spesso tentano di controllare la loro sete consumando sangue animale o, che ne so, rubando le sacche di plasma dagli ospedali. E poi perché l’idea della società parallela, dei mostri che tanto mostri non sono, viene da Io Sono Leggenda, un romanzo del 1954 che, se non ricordo male, non riportava il nome di Seth Grahame-Smith in copertina. In terzo luogo, l’idea degli zombi che mangiano cervelli è una delle più pigre in assoluto. È vero, la usava anche Dan O’Bannon in quel capolavoro che è Il ritorno dei morti viventi, ma si trattava di una parodia. In qualunque altra situazione venga usata, è una di quelle idee che puzza di ignoranza sulla materia zombi. La può partorire giusto chi non ha mai visto un film di Romero per intero, ha “sentito dire” che i morti viventi mangiano i cervelli e tanto gli basta.

Ma tutto questo non sarebbe il problema, perché mica tutti devono essere Romero. C’è un vasto universo di film di zombi creati appositamente per intrattenere per un’ora e mezza al cinema senza troppi pensieri o riflessioni politiche. Va benissimo. Il problema vero è che Pipì Zeta è (non?) mortalmente noioso e asfittico nella sua pulizia, fa parte di quella categoria di film horror concepiti per far colpo su un pubblico molto più vasto, non avvezzo al gore. Vuole essere un film sentimentale con elementi orrorifici, ma è talmente controllato e progettato a tavolino da risultare troppo freddo da un lato – e con quelle faccette perfette da copertina di Cioè di Lily James, Bella Heathcote e Douglas Booth non poteva essere altrimenti – e troppo morigerato dall’altro.

Finalmente, un sacco di zombi! Wait...

Finalmente, un sacco di zombi! Wait…

Tutto ciò si inserisce in un discorso più ampio. Dopo Warm Bodies e Vuvù Zeta, Pipì Zeta sancisce senza ombra di dubbio l’avvento del film di zombi di massa, che prende genericamente le regole settate da Romero, le spoglia di qualsivoglia lettura politica e incazzata sullo stato delle cose e di qualunque dettaglio truculento e goccia di sangue di troppo, e le dà in pasto a una massa anestetizzata di spettatori che starebbero proprio bene in forma di zombi in un film di Romero vecchio stampo. È la vampirizzazione degli zombi, anzi la Twilight-vampirizzazione degli zombi. Se i film di Romero erano opere di “rottura”, che prendevano la tradizione dei vampiri e, con un assist da parte di Matheson, la rigiravano su se stessa, film come Pipì Zeta si riappropriano di quell’idea e la riportano nei ranghi, castrandola.

Bub is not amused.

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DVD-quote:

“L’avvento definitivo del teen-zombie-movie di massa”
George Rohmer, i400Calci.com

>> IMDb | Trailer


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